La convinzione che le buone notizie non facciano notizia è ancora molto diffusa nelle redazioni e nel pubblico. Ma non è più così.
Il giornalismo ha deviato dal suo obiettivo originario, andando a inseguire titoli acchiappa-click e metriche pubblicitarie per rendere economicamente sostenibile le testate, costringendole a fornire sempre più contenuti, sempre di minore qualità, sempre meno originali e più veloci da consumare.
È questa la grande malattia dei mass-media di oggi: fornire sempre più notizie, poco approfondite e dunque spesso lontane dalla verità, vero obiettivo del giornalismo, a favore di contenuti che catturino semplicemente l’attenzione e che portino il lettore a cliccare su qualche pubblicità, ovvero colei che i contenuti li paga. Ma finché non invertiamo l’ordine delle cose, facendo gli interessi del lettore, le cose non cambieranno.
La mia visione, fin da quando nel 2001 ho lanciato il primo esperimento editoriale di giornalismo costruttivo, era ambiziosa: costruire una testata che definisse un nuovo modello di informazione. Ma il problema inizialmente era culturale: superare la convinzione diffusa che “le buone notizie non fanno notizia”, radicata sia nelle redazioni sia tra le persone. E non era facile convincere il pubblico che questo nuovo approccio potesse funzionare.
Solo successivamente, nel 2007, è stata coniata dalla ricercatrice e giornalista Cathrine Gyldensted la definizione di “giornalismo costruttivo”. Ho così scoperto, con entusiasmo, che il mio lavoro e quello del mio team non era poi così lontano da quella definizione. Oggi i paesi del Nord-Europa sono leader nell’adozione di questo nuovo approccio. Qui sono nate organizzazioni come il Constructive Institute, e nuovi progetti editoriali di successo come De Correspondent, basati su questo innovativo modo di fare del buon giornalismo. Anche negli Stati Uniti è nato nel 2013 il Solutions Journalism Network, un’organizzazione che si occupa di diffondere e formare i giornalisti specificamente su questo nuovo approccio, che sembra essere vincente.
L’Italia è come sempre cinque passi indietro. Oggi nel nostro Paese il termine “giornalismo costruttivo” viene ancora confuso il concetto di “buone notizie”, che è tutt’altro approccio, classificato accademicamente come “giornalismo positivo” poiché consiste perlopiù in notizie leggere, a lieto fine, lontane dai grandi fatti di attualità che occupano le prime pagine dei quotidiani. L’unica organizzazione formalmente costituita che sta cercando di divulgare questi nuovi canoni in Italia, dove ancora prevale lo scetticismo generale tra gli addetti ai media, è l’Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo, principalmente con le sue attività formative.
Ci vorrà ancora del tempo prima che questo nuovo approccio trovi la sua giusta espressione in un Paese e in un settore, quello editoriale, dove un intero settore industriale e professionale preferisce ancora perseverare inerme nella certezza di un inesorabile e lento declino, piuttosto che correre il rischio di innovare il modo di fare informazione.
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