Redazione
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Gennaio 2012. Arianna Huffington aveva fondato sette anni prima il sito di informazione che porta ancora oggi il suo nome – L’Huffington Post. L’obiettivo era cogliere l’opportunità del digitale e donare al lettore una nuova piazza per informarsi. Un grande successo pressoché immediato. Visionaria e appassionata di umanità, l’Huffington sceglieva in quel gennaio di 6 anni fa di lanciare una sfida nella sfida: una sezione del sito dedicata alle Good News. «HuffPost Good News copre le storie che i media tradizionali scelgono di non raccontare: ciò che ispira, che ha un messaggio positivo e che funziona», questa l’ambizione dichiarata dalla fondatrice del sito.
«In ogni luogo del Paese, persone e comunità stanno facendo cose divertenti, raggiungono obiettivi importanti, affrontano sfide vere con perseveranza, creatività e grazia. Ma queste storie raramente sono raccontate online, sui giornali o in tv. HuffPost Good News userà una varietà di strumenti di storytelling per creare un ponte che possa coprire il gap esistente tra il mondo come è realmente e il mondo come viene rappresentato dai media. La scusa che i media danno spesso per giustificare le proprie scelte editoriali è che queste storie sono “ciò che il pubblico vuole”. Bene, noi non crediamo sia così e HuffPost Good News è la nostra risposta, e la nostra sfida, a questo cinismo».
Nel suo primo mese di vita, la sezione Good News del sito ha generato 5,6 milioni di visitatori e nei mesi successivi ha mantenuto la media di 5 milioni di visitatori unici, 15 milioni di pagine viste e un milione di reazioni social al mese. Il primo anno dava un chiaro segnale di successo.
Jimmy Maymann, CEO dell’azienda, racconta di aver appreso immediatamente due importanti lezioni della sezione Good News. La prima, importante, l’esistenza di un mercato per le notizie costruttive. Il lettore è risultato più interessato alla condivisione di storie positive con un orientamento alla soluzione rispetto alla condivisione delle storie tradizionalmente riportate sui media. L’altra lezione, altrettanto importante, appresa da Maymann riguardava il business editoriale: gli inserzionisti sembrano apprezzare notevolmente le storie costruttive più di ogni altro tipo di giornalismo.
Arianna Huffington si dimise nel 2016 per dedicarsi il suo nuovo progetto Thrive Global. Ma l’eredità lasciata è stata importante. Oggi l’HuffPost ha una veste differente ma resta un’esperienza che ha lasciato un’impronta giornalistica visionaria e un’attenzione al giornalismo costruttivo che, dati alla mano, ha mostrato una necessità chiara. Un giornalismo più orientato al lettore, alle soluzioni e alla costruzione è una necessità del mercato e risponde anche alle logiche del business. Occorre solo avere il coraggio di aprire le porte a questa nuova modalità di fare informazione.
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