Redazione
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Il giornalismo a livello globale, e in particolare quello italiano, ha quasi raschiato il fondo del barile: sì, perché in realtà non ha ancora toccato il fondo. Ci vorrà ancora qualche anno prima che arrivi a toccarlo e riesca a darsi la spinta necessaria per venirne fuori. La causa alla base di questa situazione è una resistenza all’innovazione fuori dal comune.
A partire dagli anni duemila, con la rivoluzione digitale, il declino è stato praticamente costante, e senza mai vedere un’inversione di tendenza. I ricavi pubblicitari sono crollati, così come la vendita delle copie. Molti giornalisti hanno perso il lavoro. Altri sono diventati precari. Le remunerazioni sono scese drasticamente. Metà delle edicole hanno chiuso i battenti. Ogni tentativo di risalire la china da parte degli editori è stato vano di fronte all’incapacità di sapersi innovare e all’insistenza nel continuare a usare vecchi modelli di business, una volta remunerativi per la carta stampata, ma non più nella nuova era digitale. Soprattutto di fronte a colossi come Google e Facebook, che hanno aggregato le notizie a fini di indicizzazione e visibilità, catalizzando la maggior parte gli investimenti pubblicitari.
Gli editori hanno dovuto spremere anche i noccioli delle olive per tirar fuori poco più di niente. In questa spremitura abbiamo assistito a un’involuzione della qualità delle notizie, sia a causa del taglio delle risorse, sia a causa dei tentativi di rimanere a galla nell’affollamento sempre più vasto di informazioni e canali di comunicazione (blog, social network, ecc…), obbligando a ricorrere talvolta a eccessive semplificazioni, come quella di non verificare le fonti, o trucchetti, come il click-baiting o l’uso di titoli sensazionali pur di fare ascolti o vendere copie.
Da qui, il peggioramento della qualità delle notizie fino a non corrispondere più alla realtà, come dimostrano i dati della ricerca “Perils of perception” di Ipsos e numerose altre ricerche che abbiamo raccolto nel nuovo libro GIORNALISMO COSTRUTTIVO, scritto a sei mani e curata da Silvio Malvolti insieme alle giornaliste Martina Fragale e Alessia Marsigalia, edito dall’Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo.
Le conseguenze di questa vera e propria mercificazione delle notizie sono più gravi di quanto possiate immaginare. E la responsabilità è di tutta la filiera delle notizie: dagli editori, ai direttori, fino ai singoli redattori.
È per questo motivo che nasce il giornalismo costruttivo, un approccio che nasce innanzitutto dalla necessità di ristabilire quello che il giornalismo avrebbe dovuto sempre fare: informare correttamente i lettori, quali destinatari finali del lavoro di ogni giornalista.
D’altra parte, se in nord Europa e negli Stati Uniti sono nati istituti e corsi con la specifica missione di divulgare e insegnare il giornalismo costruttivo agli addetti del settore, e con successo, anche noi qui in Italia possiamo avere delle speranze. Editori come il New York Times, Huffington Post e The Guardian, e broadcaster televisivi come la BBC e le tv di stato danese e scandinave hanno già adottato un approccio costruttivo creando i loro contenuti, recuperando l’audience persa in decenni di cattiva informazione.
In questo libro vi diamo alcuni elementi utili a ripensare la professione di giornalista e ricondurvi alla sua originaria missione. Lo trovate in tutti i negozi on-line e su Amazon anche in versione cartacea.
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