Negli ultimi due mesi, ho fatto alcune interviste e due servizi per la televisione tedesca. Si è trattato in tutti i casi di occasioni preziose, non solo per i contenuti ma anche – soprattutto – perché mi hanno “messa in crisi”. Una domanda che ci viene fatta spesso, durante i corsi, è: come si fa a trattare in modo costruttivo una notizia negativa? Di solito, rispondiamo invitando a spostare il focus sulle soluzioni: quelle che sono già state applicate in situazioni simili (per esempio) ponendo l’accento sulla “scalabilità” in un contesto diverso.
Negli ultimi due mesi, però, mi sono trovata davanti a difficoltà diverse. Perché una cosa, è scrivere un articolo e un’altra è fare un’intervista. Come fai a condurre un’intervista con gli strumenti del giornalismo costruttivo quando la situazione che ti sta raccontando il tuo interlocutore è praticamente in total-black? Quando le eventuali buone notizie sono troppo collaterali e di contorno, per avere un valore, e quando la persona che hai davanti è troppo immersa nel flusso delle cose per poter captare delle soluzioni che per il momento non ci sono?
L’ho toccato con mano in un’intervista in incognito quando un chirurgo – che, rischiando il licenziamento, mi parlava dei problemi del suo reparto– a una mia domanda sulle soluzioni possibili, mi ha risposto: “Devi capire che stai parlando con una persona sotto shock. La situazione che stiamo vivendo, è come una guerra: in questo momento, io sono uscito da una battaglia e tra mezz’ora tornerò dentro a combattere. Quello che vedo davanti a me, quindi, è solo il presente perché è su quel campo che sono chiamato ad agire ora. Le emergenze, funzionano così.”
Mi sono detta che aveva ragione lui e che forse potevo trovare un altro modo per fare giornalismo costruttivo. Perché in fondo, al di là delle definizioni teoriche, il giornalismo costruttivo è soprattutto giornalismo “utile”. La domanda corretta, allora, in situazioni come quella che ho raccontato, non è “quali sono le soluzioni possibili?” ma piuttosto: cosa è utile far emergere, di questo sfondo negativo, perché possano essere trovate delle soluzioni dopo? A volte – più che un’operazione di ricerca – è utile un’operazione di setaccio, che escluda ciò che non serve (voyeurismo, riflettori accesi sui particolari morbosi) e metta in luce ciò che non funziona, in modo che in un secondo momento possa venire aggiustato.
Il dolore va raccontato fino in fondo se questo può aiutare i lettori a mettere a fuoco con lucidità ciò che sta succedendo e a cercare, insieme, nuove soluzioni. Altrimenti, indorando la pillola, si rischia solo di buttare via il bambino con l’acqua sporca.
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