A chi appartengono le agenzie di rating? Di chi sono i giornali? Quali sono i loro veri scopi? A quali statistiche possiamo credere in modo assoluto, sapendo che i metodi con cui vengono create sono stabiliti in base a criteri molto plastici, in grado far emergere qualsiasi punto di vista si voglia, spacciandolo per verità assoluta?
La verità assoluta non è nelle mani di alcun giornalista o agenzia di statistica. Scegliere cosa leggere e quali opinioni seguire basandosi sulla certezza dei dati è un’illusione. Cambiando i parametri di analisi delle situazioni si possono ribaltare i dati e le conclusioni su qualsiasi argomento.
La società è invecchiata? I giovani sono senza lavoro? L’economia riparte? Basta spostare la colonnina che stabilisce il limite tra vecchiaia e giovinezza, si comprendono o si escludono alcuni settori lavorativi e il gioco è fatto: puoi costruire l’articolo che vuoi e creare l’opinione che vuoi.
Qualsiasi situazione negativa nasconde dei punti di forza, qualsiasi situazione positiva nasconde delle falle. Giornali che evidenziano la prima sono all’ordine del minuto, più raro è trovare giornali del secondo tipo.
Tutto è relativo allora? Parrebbe di sì. Ma qual è l’impatto che hanno sulla nostra vita?
Facciamo un esempio. Se si scrive che “il terremoto in Cile ha riversato per strada migliaia di persone”, non si sta mentendo. D’altra parte non si sta mentendo nemmeno se si scrive che “in Cile migliaia di persone si sono riversate per strada seguendo precise procedure di evacuazione” delle abitazioni, che nel paese vengono eseguite da anni. Nel riportare la notizia con la seconda modalità non si sta rabbonendo tout court l’amara pillola di un terremoto, perché la notizia non viene stravolta. L’informazione non manca di essere data per quello che è, ma con la seconda informazione passa anche la formazione, l’insegnamento, il modello positivo da simulare.
Spesso la cronaca rasenta il gossip, come se ogni vicenda dovesse seguire la trama di un romanzo, che da una situazione iniziale giunge ad una soluzione, non prima di essere passata da peripezie e tensioni varie. È risaputo che facendo leva sui sentimenti umani, che seguono questo percorso, si possono sfornare diversi articoli su una stessa vicenda, come se fosse una storia alla quale il lettore si affezioni, e per la quale sia indotto a leggerne gli sviluppi e il finale.
Se la vicenda non ha di suo questo corso, glielo si fa prendere comunque, con le modalità di cui si parlava poco prima e, non di rado, con forzature che rasenterebbero un reato di simulazione.
Poi succede che l’evento, drammatico, su cui bisogna scrivere sia già uscito dal suo culmine negativo, ma la notizia ha bisogno che rimanga ancora un po’ lì, perché è ancora un trending topic. E si trova certamente il modo che le permetterà di rimanere ancora un po’ nel suo limbo buio, qualcuno da intervistare o un evento simile, anche se meno rilevante, prima che qualche altro drammatico evento non le rubi definitivamente la scena.
Dunque non sono i dati oggettivi a fare la differenza, ma è il pensiero del giornalista che decide cosa farci vedere e cosa pensare. Possiamo scegliere un’unica cosa: quale taglio giornalistico seguire. Vogliamo seguire chi ci mostra il bicchiere mezzo pieno o chi ci mostra il bicchiere mezzo vuoto? Pensiamo che la qualità della nostra vita possa migliorare ingozzandosi di catastrofismo piuttosto che alimentandosi con un giornalismo costruttivo?
Dentro la pluralità dei punti di vista, che sembrano escluderci la possibilità di essere informati correttamente, possiamo ancora scegliere qualcosa: quale approccio giornalistico riteniamo più efficace affinché il mondo che ci circonda possa diventare un posto migliore dove poter stare bene? È risaputo che le notizie inevitabilmente alimentano i pensieri, gli umori e di conseguenza le azioni.
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