Giulia Cananzi
Del giornalismo amo due aspetti: la possibilità di aiutare gli altri (e me stessa) a capire le cose complesse che però condizionano la vita e quella di raccontare storie.
Nell’epoca della post verità, dove le opinioni e le emozioni contano più dei dati e della verità dei fatti, diffondere una notizia, tanto più se “costruttiva” – e quindi spesso in controtendenza – è più arduo rispetto al passato. La tecnologia offre grandi possibilità ma al contempo ha stravolto i processi comunicativi. Per cui oggi è importante non solo “curare” il contenuto ma anche trovare il modo più efficace per raggiungere i lettori e proporre loro nuovi punti di vista. Ovvero se il giornalista non individua il registro più adatto al mezzo e al modo in cui questo mezzo è utilizzato dal pubblico, la notizia rischia di non passare.
Ma andiamo per gradi, partendo da alcuni dati di fatto. Molte notizie arrivano al lettore non mediate, mentre gli stessi articoli dei giornali transitano soprattutto attraverso i social media. Spariscono in questo modo alcune caratteristiche fondamentali del giornale di carta: il controllo della notizia, la gerarchia delle notizie, la pluralità delle notizie, la visione d’insieme e, non ultimo, un tempo congruo di lettura.
Chi va in edicola e compra un giornale è già tra chi è maggiormente disposto ad approfondire, a riconoscere una professionalità (pur con tutti i limiti) e ad accettare un certo grado di dibattito. Ma il pubblico dei lettori di questo tipo è in continuo calo.
Il lettore di oggi è raggiunto per lo più attraverso i social, può interagire con la fonte e dire la sua, magari anche in modo poco ortodosso, al riparo del suo video. Ciò accentua le posizioni estreme, trasforma il dialogo in contrapposizione, permette la manipolazione e la diffusione di notizie false con una velocità e viralità mai viste prima.
In questo contesto una notizia per quanto obiettiva, verificata e suffragata da dati scientificamente corretti non passa il muro delle convinzioni personali, delle impressioni, delle emozioni e, soprattutto, delle paure.
Gli esperti aggiungono che questa chiusura nel proprio mondo non sia solo dovuta agli algoritmi che governano le piattaforme e ripropongono ai soggetti prevalentemente i contenuti graditi, ma che questa modalità della tecnologia assecondi una caratteristica del nostro cervello. Quest’ultimo – per dirla in parole povere – tende al “risparmio energetico” ed evita per quanto possibile di entrare in contraddizione. Quindi va in cerca di ciò che conferma, che semplifica.
Un mix micidiale che è una delle più grandi sfide del giornalismo in generale, e del giornalismo costruttivo in particolare. Come, quindi, far passare all’opinione pubblica notizie utili per esempio al dialogo, alla ricostruzione del tessuto comunitario, all’abbattimento dei pregiudizi, alla soluzione di alcuni problemi in un contesto impermeabile alla verità dei fatti, al confronto e all’approfondimento?
Le bufale viaggiano facilmente nel web, perché sono costruite in modo da colpire, incuriosire, travolgere, emozionare. Allo stesso modo viaggia il linguaggio d’odio. E allora che fare?
Nessuno ha la soluzione, ma forse una delle risposte può essere quella di utilizzare un registro simile, cioè veloce, incisivo, aggressivo, che tocca tasti emozionali ma … avendo le “spalle grosse”, ovvero notizie verificate, vicine alle esigenze della gente, punti di vista costruttivi, letture fuori dagli schemi, risposte vere…
Giorni fa sui social rimbalzava una notizia:
“Un giovane su tre lascia l’Italia. Stiamo perdendo il futuro”.
L’affermazione del titolo è vera, ma solo in parte. Se si analizzano le ricerche sulle nuove migrazioni degli italiani all’estero, in modo particolare il Rapporto Italiani nel mondo della Fondazione Migrantes, si scoprono altre e più importanti sfaccettature. La mobilità è caratteristica del nostro tempo e per i giovani europei di oggi è parte integrante del proprio processo di formazione e autorealizzazione. Non solo, chi vive, anche solo per un periodo, fuori dal proprio Paese, può assorbire nuove idee di business, di organizzazione sociale, di meritocrazia, e al contempo rendersi conto delle potenzialità della madre patria. Di fatto spesso diventa un testimonial di una cultura e di uno stile di vita e un possibile agente di sviluppo.
Accanto alle caratteristiche della mobilità di oggi, anche la storia apre a nuove visioni. Per esempio, il Veneto e il Friuli sono state per decenni terre di emigrazione, eppure ciò non ha impedito al Nord-Est di diventare una delle regioni più ricche d’Italia.
Perché allora non ribaltare il titolo, mantenendo alto l’interesse, parlando alle emozioni, eppure dando notizie vere, alternative e costruttive?
Da qui una possibile proposta potrebbe essere:
“Un giovane su tre lascia l’Italia. Ecco perché non è una catastrofe”.
Un esempio tra tanti per ribadire che oggi le modalità con cui si trasmette una notizia sono ancora più importanti rispetto al passato. Non basta la verifica e la scientificità dei dati, occorre il registro giusto, la capacità di arrivare al cuore oltre che al cervello.
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